Dopo il golpe in Bolivia, la storia recente latinoamericana non sarà più la stessa

Due avvenimenti di queste settimane stanno segnando la historia reciente del Cono Sud: la rivolta cilena contro le istituzioni della continuità, che ha portato al momento all’annuncio da parte di tutte le forze politiche dell’avvio di un percorso verso una nuova Costituzione (ma non verso una assemblea costituente, cosa ben diversa); il colpo di Stato in Bolivia contro il governo socialista di Evo Morales.

Più che di “fatti”, dovremmo forse parlare di processi tuttora in corso: la situazione in Cile è tutt’altro che pacificata e la piazza sta cercando di costituirsi in movimenti sociali e da lì darsi una piattaforma politica chiara, radicale, di netta rottura, soprattutto per “vigilare” su una classe politica nata e formatasi nella continuità istituzionale della dittatura militare e soprattutto nella cultura politica della dottrina Alwayn e di quelle che potremmo definire dottrina Lagos[1], fondata su pacto del olvido e sulla pacificazione come premessa della democratizzazione del paese. Solo i prossimi mesi ci diranno se i movimenti saranno più forti della Continuità e soprattutto se sapranno battere la “Maggioranza silenziosa” cilena che comunque costituisce metà del corpo politico ed elettorale del paese, giungendo non solo a un nuovo testo costituzionale, ma anche a una assemblea costituente democratica e capillare nella società che sappia e voglia davvero regolare i conti con i 17 anni della dittatura militare (e i quasi 30 di democracia de los acuerdos).

Continua a leggere

Il Ballo degli esclusi. Ipotesi e interrogativi dalla ribellione popolare in Cile.

Articolo di Hernán Ouviña e Henry Renna*, originariamente tradotto dallo spagnolo da e pubblicato su Zic.it

È passata più di una settimana da quando è iniziata in Cile una rivolta popolare: nella giornata di venerdì 18 Ottobre, infatti, migliaia di studenti della capitale hanno organizzato una “evasione di massa” nella metropolitana di Santiago, a seguito dell’ennesimo tentativo da parte dei governi neoliberisti di depredare e privatizzare i beni comuni, espresso in quest’occasione nell’ulteriore aumento del costo del biglietto della metro imposto dal governo di Sebastián Piñera.

Dieci giorni di insubordinazione collettiva che sono iniziati come protesta per l’aumento di 30 pesos del costo dei mezzi di trasporto pubblico [2] ma che, se analizzati approfonditamente, rappresentano il disprezzo nei confronti di trent’anni di neoliberismo sfrenato.

In questi giorni abbiamo assistito a un’ondata di disobbedienza contro il famoso modello cileno, fino a ieri definito dai governi della Concertación come “giaguaro latinoamericano” e oggi dal governo Piñera come “oasi dell’America Latina” [3].

Continua a leggere

11 settembre 1973. La resistenza dimenticata: testimonianza di due combattenti popolari | Seconda parte

Proseguiamo con la seconda testimonianza gappista, dopo quella di Manuel Cortés: a parlarci è Miguel Farìas, mirista e giovane militante del “Grupo de Amigos Personales” del Presidente Allende. 

Testimonianza di Miguel Farìas, nome di battaglia “Eugenio”:

Sono stato orgoglioso di aver conosciuto Patàn, anche se molto più tardi, perché, come ha detto, avevamo altri nomi – io ero “Eugenio” – , non ho mai ricordo di averlo visto in quel periodo. Ero un giovane che non era della scorta, ma proveniva dal Dispositivo di sicurezza presidenziale. Il Dispositivo aveva gambe diverse, dipartimenti diversi, aree diverse, autisti operativi, sicurezza, armamenti, CI, cioè Contro Intelligence, la guardia personale. Ero un giovane del quartiere Barrancas, oggi Pudahuel, del distretto di Estrella, a Santiago. Un giovanotto molto irrequieto di 13 anni e di 14 o 15 anni, penso per sempre con un cuore rosso e nero. Sono sempre stato un Mirista [militante del MIR] e continuerò ad esserlo.

Continua a leggere

11 settembre 1973: la resistenza dimenticata. Testimonianza di due combattenti popolari | Prima parte

Molto volentieri vi proponiamo un articolo scritto da Guillermo Correa, compagno cileno esule in Italia, sulla testimonianza dei combattenti dimenticati dell’11 settembre 1973. L’iniziativa si è inserita nell’ambito del XII Festival del cinema sociale e dei diritti umani. Racconti di vita e militanti che sono al tempo stesso fonte orale per la storiografia e denuncia politica dell’attuale “pacto de l’olvido” egemone in Cile. Un punto di vista affine alla nostra idea di public history. Data la lunghezza pubblicheremo il contenuto in 2 parti: iniziamo con la testimonianza del gappista Manuel Cortés.

Con un omaggio ai combattenti che hanno resistito al colpo di stato dell’11 settembre 1973, è stata inaugurata la versione XII del Festival del cinema sociale e dei diritti umani. Questi compagni sono rimasti anonimi perché la storia ufficiale, quella raccontata dalle élite al potere che hanno effettuato una uscita negoziata dalla dittatura civico-militare, è stata incaricata di lasciarli nell’oblio.

Questo intervento, venerdì 7 settembre, è stato inquadrato nella commemorazione del 45 ° anniversario del colpo di stato. Il Collettivo Film Forum ha invitato due membri del GAP, il dispositivo di sicurezza del Presidente della Repubblica Salvador Allende, i compagni Manuel Cortés e Miguel Farias, noti in quel momento per i loro nomi politici e di battaglia, “Patán” e “Eugenio”. Alle 19:00 è iniziata la cerimonia in cui entrambi hanno fornito testimonianze che hanno permesso di apprendere una parte della loro vita e, allo stesso tempo, hanno riportato alcuni episodi relativi specificamente a quello che è successo martedì 11 settembre. Francisco Marin, giornalista, è stato il moderatore di questi interventi, rendendo anche noto il suo parere sulla morte di Salvador Allende, il prodotto di un’indagine giornalistica esaustiva e dell’analisi scientifica dei fatti portata avanti dal perito forense Luis Ravanal, tesi che è stata pubblicata nel libro “Allende: non mi arrendo”, dove afferma che la morte del Presidente, catalogata dalla storia ufficiale come un suicidio, obbedirebbe ad un’operazione di assemblaggio.

Continua a leggere

Oblio e stabilità: dall’arresto di Pinochet al caso Brzovic-Palma

La strada della concertazione e dell’olvido è spiegabile storicamente considerando una serie di fattori: la forza politica della destra, dei militari, delle istituzioni plasmate dal regime e la parallela debolezza dell’opposizione; la “gabbia istituzionale” costruita e garantita dalla Costituzione; l’incapacità di riorganizzazione politica che 17 anni di Terrore di Stato hanno prodotto sulla società, profondamente segnata dalla paura e caratterizzata dalla volontà di oblio; la cultura politica della nuova classe dirigente, sostenitrice della necessità di accordo e negoziazione in nome della riconciliazione nazionale, considerata l’unica strada per ricostruire e consolidare la democrazia.

Soffermiamoci un momento su quest’ultimo punto in relazione al secondo importante momento nella costruzione della verità ufficiale cilena sugli anni della dittatura militare: l’ordine di cattura internazionale emesso nel 1998 dai giudici spagnoli Baltasar Garzòn e Manuel Garcìa Castellòn contro Pinochet, mentre questi si trovava a Londra per motivi medici. I due giudici, infatti, avevano accolto l’anno prima la denuncia presentata dalla Uniòn Progresista de Fiscales – UPF (associazione di magistrati progressisti), per l’omicidio di cittadini spagnoli in Cile, aprendo così un’inchiesta per genocidio e terrorismo contro l’ex dittatore.

Continua a leggere