Dopo il golpe in Bolivia, la storia recente latinoamericana non sarà più la stessa

Due avvenimenti di queste settimane stanno segnando la historia reciente del Cono Sud: la rivolta cilena contro le istituzioni della continuità, che ha portato al momento all’annuncio da parte di tutte le forze politiche dell’avvio di un percorso verso una nuova Costituzione (ma non verso una assemblea costituente, cosa ben diversa); il colpo di Stato in Bolivia contro il governo socialista di Evo Morales.

Più che di “fatti”, dovremmo forse parlare di processi tuttora in corso: la situazione in Cile è tutt’altro che pacificata e la piazza sta cercando di costituirsi in movimenti sociali e da lì darsi una piattaforma politica chiara, radicale, di netta rottura, soprattutto per “vigilare” su una classe politica nata e formatasi nella continuità istituzionale della dittatura militare e soprattutto nella cultura politica della dottrina Alwayn e di quelle che potremmo definire dottrina Lagos[1], fondata su pacto del olvido e sulla pacificazione come premessa della democratizzazione del paese. Solo i prossimi mesi ci diranno se i movimenti saranno più forti della Continuità e soprattutto se sapranno battere la “Maggioranza silenziosa” cilena che comunque costituisce metà del corpo politico ed elettorale del paese, giungendo non solo a un nuovo testo costituzionale, ma anche a una assemblea costituente democratica e capillare nella società che sappia e voglia davvero regolare i conti con i 17 anni della dittatura militare (e i quasi 30 di democracia de los acuerdos).

Così come il conflitto interno boliviano appare soltanto all’inizio: l’esilio di Morales e la caduta forzata del governo del MAS (Movimiento al Socialismo) non sono stati passaggi indolore come forse avevano creduto i vertici militari, delle forze di sicurezza e della destra. L’autoproclamazione di Jeanine Anez ricorda sempre più la parodia del caudillo della borghesia venezuelana Jaime Guaidò, priva però del sostegno di quella mobilitazione nelle strade che la destra venezuelana era comunque riuscita a costruire. Senza voler fare la celebrazione acritica di un governo che comunque molti limiti e contraddizioni ha avute da un punto di vista rivoluzionario, ciò non toglie che le manifestazioni e rivolte di protesta contro il golpe sono lì a dimostrare, a destra come a sinistra, che il MAS ha mantenuto un consenso sociale potente, radicato e pronto a battersi. Disponibilità questa messa in campo anche e soprattutto da parte di quei movimenti sociali (indigenisti e dei minatori), che pure forti contrasti hanno avuto con il governo Morales e con cui questi è giunto a una rottura in più occasioni. Come ai tempi del conflitto di campesinos o mineros con Allende, ritrovatisi poi sullo stesso lato della barricata l’11 settembre 1973, la dialettica politica sud americana appare più complicata ai sogni europei (anche e soprattutto a sinistra) di semplicità e pace sociale.

Il golpe boliviano non nasce nel nulla. La rivolta cilena contro Pinera e in più generale il sistema dei partiti del dopo-giunta; il fallimento dei tentativi golpisti in Venezuela e la tenuta del blocco chavista; la grande vittoria del Fronte Giustizialista in Argentina, con il ritorno al governo dell’ala progressista del peronismo e del kirchnerismo; l’affermazione del Frente Amplio in Uruguay; la crisi politica di Uribe in Colombia e la ripresa della mobilitazione dei movimenti sociali; la vittoria dei movimenti ecuadoregni contro il Paquetazo[2]; e, non ultimo, la liberazione di Lula in Brasile con la dimostrazione dei meccanismi di golpe per via giudiziaria contro di lui e Dilma Roussef: la nuova ondata continentale reazionaria e conservatrice, avviata dalla destra con spirito revanscista contro le minacce ai privilegi e all’ordine tradizionale rappresentate dalle vittorie politiche della sinistra per un quindicennio, si è infranta contro il blocco che proprio la sinistra latinoamericana è riuscita a ricostruire dopo lo sterminio e il genocidio politico degli anni Sessanta-Ottanta.

I repertori conflittuali della coalizione della destra continentale sono stati diversi, così come le modalità di ingerenza degli Stati Uniti e delle altre forze internazionali storicamente interessate (a partire dal FMI e dalla Chiesa Cattolica). La Guerra Fredda è finita, i processi golpisti si sono svolti in altre modalità: strangolamento dell’economia nazionale, cercando anzitutto di “chiudere i rubinetti” di quelle risorse nazionalizzate e utilizzate dai governi di sinistra per avviare i loro imponenti piani di redistribuzione sociale; alleanza sociale tra i momios[3], classe media e piccola borghesia minacciata dalla crisi, cercando di rompere il contratto costruito invece tra ceti popolari e ceto medio in chiave progressista o rivoluzonaria; livello di conflittualità sociale a incremento costante, fino a determinare un contesto di violenza di piazza permanente e crescente.

Che un colpo di Stato “classico” sarebbe arrivato nel continente era nell’aria, ma era difficile prevedere dove. La Bolivia può essere considerato l’anello più “debole”, a livello di peso economico e rispetto all’attenzione estera, tra i governi dell’asse progressista-rivoluzionaria. Qui la violenza della destra si fa molti meno scrupoli a essere palese, compiendo atti di repressione di rara efferatezza, come testimoniato dal massacro di Cochabamba del 15 novembre scorso, contando sul disinteresse di fatto dei media e dell’opinione pubblica internazionale. Ma il golpe in Bolivia rappresenta una frattura netta e un segnale anche per gli altri paesi: la destra è pronta a un nuovo “salto di qualità” nella reazione, se la destabilizzazione e la lotta politica elettorale non dovessero essere sufficienti. Andrés Oppeneheimer, forse il maggiore analista conservatore dell’America Latina, ha espresso la cornice teorica e interpretativa: i “comunisti” e il “castro-chavismo” vogliono “distruggere il Cile” e la società latinoamericana, ovvero “una società che ha successo e che domanda standard di vita come quelli degli USA”, imponendo a tutta la regione il caos economico e politico del modello venezuelano e il presunto connubio “tirannia-miseria” del socialismo del XXI secolo, che proprio nella Bolivia di Morales avrebbe avuto il suo altro esempio negativo.[4]

La Bolivia è stato il primo paese tra quelli del Cono Sud a costituire una Commissione Verità e Giustizia dopo la fine della propria dittatura militare. Tra i paesi più poveri della regione e con il più alto tasso di disuguaglianza tra la maggioranza indigena e la minoranza bianca, la storia del suo conflitto movimenti-militari-guerriglia è profondamente intrecciata con la negazione per legge dell’identità dei popoli originari e l’affermazione del suprematismo creolo. Allo stesso modo, la biografia di Morales e del suo vice Linera racconta del progetto politico di riscatto che ha portato alla lunga egemonia del MAS e al suo profondo consenso: il Movimiento al Socialismo è infatti figlio dei movimenti sindacali e guerriglieri che afferiscono a quella particolarissima corrente boliviana del socialismo regionale che è definito marxismo-katarismo[5].

Oltre a essere un politico e militante del MAS, Alvaro Linera è uno dei massimi sociologi boliviani e, come nelle migliori tradizioni, ha studiato durante gli anni del carcere in quanto ideologo e combattente del Ejército Guerrillero Tupac Katari[6]. Introducendo il suo testo sulla questione dello Stato durante una conferenze ebbe a dire:

“Il pensiero marxista storicamente si è sempre diviso in due correnti di fronte alla natura dello Stato: una corrente afferma la apoliticità della macchina statale e che quindi è questione di prendere il controllo delle sue leve; l’altra, invece, interpreta il momento di formazione dello Stato come determinato dalla natura di classe del dominio borghese sul proletariato e coloniale sulle popolazione indigene. Noi, che avevamo subito la dittatura militare e la violenza di uno Stato razzista che torturava e faceva desaparecidos, non potevamo credere al mito della ‘neutralità’ della macchina statale: lo Stato non è neutro, serve gli interessi dominanti, e quello che stiamo provando a fare noi è proprio sradicare questi interessi dallo Stato”.[7]

Sono ora quegli interessi che non hanno mai perdonato alla sinistra boliviana di aver iniziato a rovesciare i tradizionali e secolari rapporti coloniali servo-padrone su cui si fonda lo Stato fin dai tempi degli spagnoli e poi dell’indipendenza.

[1] Rispettivamente: l’accettazione delle amnistie concesse a sé stessa dalla giunta nel ’78, secondo il principio per cui la democrazia si potesse fondare unicamente sulla pacificazione sociale; l’impossibilità e la rinuncia a perseguire le violazioni dei diritti umani dei militari negando la responsabilità individuale

[2] Ovvero il pacchetto di misure di austerità economica imposto dal FMI e accettato dal governo Moreno in Ecuador.

[3] “Mummie”: così erano chiamati, durante i 1000 giorni del governo Allende, l’alta borghesia e le classi dominanti cilene, ironizzando sul loro carattere estremamente conservatore.

[4] In particolare di Oppenheimer segnaliamo ¡Basta de Historias! La Obsesión Latinoamericana con el Pasado y las 12 Claves del Futuro, testo fondativo della critica alla corrente della historia reciente di Franco e Levìn.

[5] Ispirato alla figura del leader ayamara Tupac Katari, che guidò una rivolta nel XVIII sec., il movimento katarista iniziò ad articolarsi pubblicamente nei primi anni ’70, recuperando l’identità politica del popolo Aymara . Il movimento si è concentrato su due chiavi di lettura principali della storia boliviana: che l’eredità coloniale è rimasta intatta nelle repubbliche latinoamericane dopo i processi di indipendenza; che la popolazione indigena costituisce la maggioranza demografica (e quindi essenzialmente politica) in Bolivia. Il katarismo rende visibile la doppia oppressione delle popolazioni indigene della Bolivia: di classe (in senso marxista, economico) e di oppressione etnica. In senso più ampio, il katarismo si inserisce nella corrente gramsciana della sinistra rivoluzionaria latinoamericana, che dal peruviano Mariategui ha cercato di coniugare il marxismo al contesto post-coloniale e campesino del Cono Sud.

[6] Organizzazione politica con un braccio armato composto da indios e meticci, creati nel 1986 e duramente colpita e smantellata nel ’92. L’organizzazione ha mantenuto l’attivismo con una struttura di formazione sindacale per le comunità contadine, lo sviluppo teorico e una struttura di propaganda, di cui Linera è stato il maggiore responsabile.

[7] Linera, Estado multinacional, La Paz, Malatesta, 2005

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